NOSTRA MADRE, QUELL’ECO CHE CI PARLA DENTRO

Siamo sicuramente ingenue, ma noi mamme pensiamo che gli insegnamenti che diamo ai nostri figli, come la trasmissione delle regole base dell’educazione e del vivere civile, l’istruzione, la pratica di discipline sportive, musicali o artistiche, siano gli unici bagagli che noi lasciamo loro in eredità, quando questi saranno delle persone adulte, autonome e indipendenti. Ma non è così.
Una madre (e un genitore più in generale) lascia ai propri figli molto di più.
L’osservazione attenta che i nostri piccoli fanno di noi giorno dopo giorno, il loro saper cogliere con antenne speciali tutto ciò che non viene detto ma che esiste nel nostro vissuto interiore, sono in realtà il bagaglio più profondo ed importante che erediteranno da noi.
Un giorno, loro guarderanno il loro mondo, quello che gli appartiene, con i loro occhi, ma dentro di sè risuonerà sempre un’eco: quello che noi siamo state nella nostra vita (come esseri umani e non solo come madri) e quello che siamo state per loro.
La tenacia o l’arrendevolezza nell’affrontare la vita, la gentilezza o la rabbia con cui viviamo la relazione con il prossimo e con noi stessi, l’empatia o l’indifferenza che nutriamo per la natura, l’arte o la bellezza del vivere. Tutto questo farà parte di loro più di quanto non abbiamo voluto o saputo trasmettere coscientemente.
Oggi ho ricevuto una email da Barbara, una mamma, ma anche una figlia e con il suo permesso condivido il suo pensiero: ” Ciao Daniela, sono mamma ma se può servire ti racconto quello che alla fine vale davvero. Tre anni fa mia mamma Paola è morta (82 anni) e qualche mese dopo mi sono trovata a pensare che mamma è stata. Non è stata una mamma perfetta ma ha fatto quello che poteva e doveva fare, a volte sicuramente sbagliando a volte vedendo oltre… è stata una mamma e io sono stata fortunata e questo voglio che i miei figli pensino di me quando non ci sarò più.
Il messaggio per tutte le mamme è che la perfezione non è necessaria e non serve né alla mamma né al figlio perché quello che conta è quello che lasci alla fine.
E ti posso assicurare che mia mamma continua ancora a fare la mamma nei suoi insegnamenti e questo vuol dire che quello che ha fatto l’ha fatto bene. E comunque dal periodo pappe, pannolini e vomitini si esce.
Di alle tue mamme che i conti si tirano alla fine e di non disperare, io sono ora nella fase adolescenziale si salvi chi può ma ce la faremo
Saluti Barbara”


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MA IO CREDEVO CHE…

Una delle sensazioni che le mamme più di frequente sperimentano è la scomparsa della propria vita.
Prima di diventare genitori si pensa ingenuamente che l’arrivo di un figlio, sì cambierà le cose, ma in fondo non troppo.
Si pensa che un bambino sarà quella gemma che renderà tutta la nostra esistenza ancora più bella e più preziosa, mentre tutti il resto resterà uguale, intatto, come in un quadro ormai dipinto da secoli e che sta fermo sulla parete del nostro salotto come una certezza.
Ma non è così.
Quando nella nostra vita irrompe l’arrivo di un bambino tutto salta.
I tasselli del nostro puzzle che per anni abbiamo faticosamente sistemato per creare il disegno perfetto, quello della nostra vita, quello della nostra vita che a noi piace così com’è, ecco quelle migliaia di tasselli faticosamente disposti uno ad uno per anni saltano in aria tutti quanti e tutti insieme.
La nostra realtà quotidiana, quella che conosciamo e che abbiamo imparato ad amare non esiste più ed è una sensazione che ti spiazza e a volte ti sconvolge.
Una mamma, almeno per i primi anni di vita del bambino (e vi assicuro che due o tre anni non sono affatto pochi) deve dedicare ogni attimo del proprio tempo, ogni molecola delle proprie energie, ogni  spazio della propria attenzione solo ed esclusivamente al suo piccolo.
Al suo nutrimento, alla sua pulizia, al suo gioco, al suo riposo e alla sua integrità e sicurezza.
Quando è successo a me (di diventare mamma) tutto questo è pesato. E’ pesato moltissimo.
Alle volte la mia felicità scompariva al punto da rimpiangere i tempi passati, quelli in cui potevo vegetare senza un senso davanti alla televisione, tempi in cui potevo cenare distrattamente coni miei amici senza dover badare a cosa succedeva al mio piccolo, tempi in cui esistevo io ed io sola. E di questo ogni mamma si sente in colpa.
Ci sentiamo in colpa perchè ci insegnano fin da piccole che la maternità è qualcosa di meraviglioso, anzi che è la cosa più meravigliosa e preziosa del mondo e quando noi ci troviamo così, affaticate e insoddisfatte, ci sentiamo colpevoli.
Ma questo sentire, posso assicurarvelo è di tutte le mamme.
E’ normale e naturale aspirare al proprio tempo e spazio personale, è naturale rimpiangere la libertà e la leggerezza perdute, è normale ed umano sentirsi così.
E poi basta stringere i denti per un po’, perché i nostri piccoli crescono in fretta e presto potremo condividere con loro i “vecchi” spazi della nostra vita, quelli che ci  piacevano tanto così come erano una volta.
E sarà ancora più bello, perché ci saranno loro a viverli insieme a noi.

IL MERCOLEDI’: PARLAMI DI TE

Francesca & Sofia –

Il 15 luglio del 2014 è stato il giorno più bello e contemporaneamente il più brutto della mia vita.
Fino a quel momento non pensavo fosse possibile provare così tante emozioni contrastanti.
Quel giorno è nata mia figlia.
Ho trascorso una gravidanza serena, senza alcun tipo di problema, vivendo giorno per giorno con la leggerezza e la spensieratezza dei miei 29 anni. Pensavo che il parto non mi avrebbe riservato sorprese: siamo una generazione preparata al dolore, al sangue, alle spinte, mi aspettavo tutto questo e conoscendomi lo avrei affrontato con il massimo della determinazione.
Purtroppo nulla di quello che mi aspettavo è successo.
Le contrazioni erano iniziate a mezzanotte ma non volevo assolutamente passare ore e ore  in pronto soccorso e quindi, munita di timer, mi sono messa seduta sul divano a contarle.
Quando sono arrivata in ospedale ero già dilatata di 5 cm e in poche ore sono arrivata a 10.
Ecco, mi sono detta, la scena del parto del film sta per iniziare… spingerò un po’ e vedrò la mia piccola Sofia arrotolata nel suo morbido asciugamano rosa, la prenderò in braccio e inizieremo la nostra vita insieme.
Sofia però non era poi così piccola (è nata di 4kg e 200 gr) e la testolina non era proprio messa nel modo giusto per uscire. Le hanno provate tutte.
Mi sono saltati sulla pancia, mi hanno fatto due epidurali (che poi che senso ha?) e io ho spinto per ore, 7 per l’esattezza.
Ero stremata.
Continuavo a vivere questa esperienza assurda come se non fossi veramente io a viverla in prima persona. La vedevo da fuori… non sono io…sta succedendo a qualcun altro!
E poi finalmente un ginecologo serio passa di lì e si rende conto del pericolo che io e la mia bambina stavamo correndo: “Portatela immediatamente in sala operatoria, la bambina è in sofferenza”.
Nonostante l’ordine perentorio, chi mi ha accompagnata in sala operatorio ha avuto il coraggio di farmi spingere per un’altra mezz’ora  “Si vede la testa!! Si sente!! Dai che ce la fai”.
Non capivo il perché di questo accanimento, ma come un burattino inanimato obbedivo agli ordini.
Alla fine si sono arresi, il ginecologo serio è tornato “Non l’avete ancora preparata?? Presto!!!”.
Poi la spinale. Poi l’attesa di vederla uscire dalla mia pancia.
I minuti passavano.
Sentivo i discorsi dei medici intorno a me: “Ci mangiamo una pizza dopo?”.
Uno specializzando occhialuto continuava a fissarmi.
Il pianto non arrivava e nessuno mi parlava di lei.
Come sta mia figlia?
Una mascherina e due occhi verdi si avvicinano alla mia faccia “Signora la bambina è stata portata via, non stava bene, ma stia tranquilla
Stare tranquilla? Come se mi fossi risvegliata da un torpore ho iniziato ad urlare “Voglio vedere mia figlia! Dov’è? Fatemela vedere!”.
Poi una maschera sulla mia bocca.
Il buio.
Mi sono svegliata ed ero in una stanza post operatoria.
Mio marito mi teneva la mano fissandomi come si fissa qualcosa che si aspetta da tempo.
I suoi occhi erano rossi, la sua pelle grigia come il marmo.
Entra la pediatra.
Posso vedere mia figlia?” chiedo.
Sua figlia è in terapia intensiva signora, sta recuperando. L’abbiamo dovuta rianimare, ora è alimentata da un sondino” . 
Con le ultime forze che mi restano provo a domandare “Mio marito può entrare a vederla? Magari mi porta una foto.”
Avevo un bisogno estremo di vederla. Avevo bisogno di sapere che c’era.
Mi dispiace signora, non è molto bella da vedere, magari domani”.
Ecco, da quel momento in avanti è stato come se la mia mente si fosse staccata dal mio corpo.
Sentivo il dolore ma non provavo niente, forse per protezione.
Dovevo affrontare la situazione. Dovevo superarla.
La notte è passata tra i vagiti e l’odore di neonato misto al latte delle mie compagne di stanza.
Io non ero più io.
Il giorno dopo nonostante avessi cateteri e flebo da far invidia ad un albero di Natale (mi hanno tagliato totalmente la vescica da parte a parte durante il cesareo) mi sono diretta al piano superiore.
La Tin (Terapia Intensiva Neonatale) è stata la mia nuova casa per 5 giorni.
Sofia l’avresti riconosciuta tra mille, era l’unica neonata della sua stazza rispetto agli altri piccoli ospiti.
E’ stata una testa dura dal primo minuto di vita, si è strappata il sondino dopo poche ore e giorno dopo giorno recuperava le forze bevendo il pochissimo latte che con dolore riuscivo a tirarmi.
Il giorno che me l’hanno data in braccio è stato il vero inizio della nostra vita insieme.
Per me tu sei nata in quel momento, nel preciso momento in cui ti ho potuto stringere.
Dopo il primo anno di paure: camminerà?  parlerà? (è stata incanalata per tanto tempo e l’ossigeno era poco) ho potuto tirare un sospiro di sollievo.
Sofia il 15 luglio di quest’anno compirà 5 anni ed è una bambina SANA.
È solare, socievole e sempre sorridente. Ha profondi occhi azzurri, tinti leggermente di verde intorno all’iride.
Ha preso la mia musicalità e la mia testardaggine, la pacatezza e la pazienza di suo padre.
Una vita intera di esperienze ci attende e io sarò li al suo fianco tenendole la mano, nel caso ne avesse bisogno, durante la scoperta di questo strano mondo.
La vita di una donna non cambia quando si hanno dei figli, quando si diventa mamme sappiamo solo che non saremo mai più sole e che avremo la fortuna di essere amate incondizionatamente da un altro essere umano per sempre.

Francesca & Sofia

MAMMA IL MOSTRO CHE PAURA!

E’ vero, i mostri fanno tanta paura. 
Ho cercato di crescere Eli in modo da tenere lontane dalla sua mente immagini irreali e paurose, le fiabe che le racconto, come Cappuccetto Rosso o Biancaneve, non prevedevano lupi che mangiano bambini o guardiacaccia che accompagnano ragazzine nel bosco per ucciderle e farle a pezzi. 
Eppure, in qualche modo, quei mostri si sono affacciati anche alle porte della sua mente ed hanno preso ad abitare le sue fantasie di bambina. 
I suoi sogni alle volte si popolano di mostri dagli occhi gialli che vogliono mangiarla e il buio diventa un luogo oscuro che nasconde esseri minacciosi.
Io cerco di rassicurarla, come di certo fanno tutte le mamme e tutti i papà.
Le spiego che quei mostri non esistono e che sono solo una sua fantasia ma poi, in tutta onestà, devo ammettere che quei mostri che io cerco di cacciare da lei sono anche dentro di me.
Quei mostri che da bambina creavano in me paure immotivate sono ancora qui, hanno stabilito il loro domicilio anche nella mia mente e nella mia anima, prendendo forme nuove e diverse ma non meno spaventose. 
Sono diventate la paura dell’imprevisto e dell’incertezza, il timore che alla mia bambina possa accadere qualcosa di brutto, come purtroppo nella realtà succede sempre più spesso, la paura della perdita. 
E allora mi chiedo se sia davvero giusto raccontare alla mia piccola che quei mostri che le fanno tanta paura non esistono o se forse non sia meglio insegnarle fin da subito che sì, quei mostri potrebbero anche esistere, ma che lei è una Supereroina, con dei poteri più forti dei suoi mostri e che con la sua forza può affrontarli, combatterli e distruggerli.
Che con un suo soffio e con la sua volontà può vincere ogni male, perché è così che diventando grande potrà essere meno fragile e vulnerabile di fronte alle proprie paure, consapevole che tutto può essere affrontato e risolto e anche i suoi mostri sconfitti.

Dal libro “Mamma! Esci da questo web”                                                                                                                                                                                                                                                        

ELI NON COLORA NEI BORDI

I bambini sono tele bianche, candide, immacolate.
I bambini sono la tela ma sono anche il colore, nel loro DNA sono incastonati i loro colori, quelli della loro vita.
E i loro colori sono i loro talenti, le loro attitudini, i loro gusti personali, le loro tendenze individuali che come semi stanno covando aspettando la maturazione giusta per esplodere e colorare le loro tele.
Ma noi adulti questo non lo capiamo, non lo capiamo mai.
Noi adulti siamo ciechi di fronte ai loro colori, sordi ai loro canti, noi adulti pensiamo di sapere sempre qual è il modo giusto di fare le cose e insegnamo loro che il rosa è il colore delle bimbe e azzurro è quello dei bimbi, che i bambini giocano a calcio e non con le bambole, che le parole non vanno inventate o storpiate perché “io ti amoro” è sbagliato o dici “ti amo” o dici “ti adoro” e che quando si colora bisogna rimanere sempre nei bordi.
E no, mia piccola Eli, io ti prego canta ancora per me le tue fantastiche teorie su come gira veramente questo pianeta, continua a dirmi quanto mi amori ogni sera e no, non colorare mai dentro ai bordi.
Mamma.

LA FESTA DI ARTURO

Ricordate quando eravamo bambini e le festicciole si facevano in casa?
Ai miei tempi, e suppongo anche ai vostri, nel giorno del nostro compleanno nella nostra casa si respirava aria di festa prima ancora che arrivassero gli ospiti, prima che i palloncini fossero gonfiati e che i panini al latte fossero disposti sul buffet perché era il nostro giorno, il giorno più importante di tutti e noi quel giorno eravamo il re della casa.
Ai miei tempi le nostre mamme passavano mezza giornata in cucina per prepararci le cose più buone: panini, tramezzini, rustici e pizzette, inclusa la nostra torta di compleanno, alle volte invece si andava direttamente in pasticceria e si ordinava la Mimosa (chissà poi perché sempre quella!).
Ai miei tempi le feste dei bambini non si organizzavano in location ad hoc, chiamando animatori che facevano body painting e baby dance, non si ripeteva “scarta la carta” come un mantra senza cuore e non si ordinavano costose torte di cake design.
Oggi le feste dei nostri bimbi sono tristi rappresentazioni teatrali senza anima, tutte inesorabilmente identiche l’una all’altra come i prodotti in serie delle fabbriche. Cambia solo il nome del festeggiato.
Ma io e Eli abbiamo avuto la fortuna di essere invitate ad un festa con la F maiuscola.
Una festicciola per bambini fatta in casa, la stessa casa nella quale quel bambino, il festeggiato, viene amato ogni giorno dai sui genitori e in cui la sua famiglia cresce unita e felice.
Per la festa di Arturo, la sua mamma ha decorato la casa con cura e attenzione in ogni dettaglio, ha cucinato per quasi due giorni preparando deliziosi manicaretti che tutti abbiamo apprezzato moltissimo, sempre la mamma di Arturo si è trasformata in una simpatica e coinvolgente animatrice e ha ideato giochi semplici e allegri che hanno divertito tutti i bambini ospiti della festa.
E poi la torta.
La torta di Arturo non era una torta di cake design, ma l’aveva fatta per lui la sua mamma.
Non era una torta bellissima o perfetta, ma era speciale e buonissima perché sapeva di amore.
Oggi, dopo quattro anni di feste di compleanno, di “scarta la carta” e di torte impeccabili, la torta di Arturo è l’unica di cui io ancora mi ricordi.


MUSICA PER SOGNARE

Come molte di noi, pensavo alla mia piccola da molto, molto tempo prima che nascesse.
Ci pensavo quando ancora io stessa stavo affrontando il mio personale percorso di crescita.
In quel tempo collezionavo e mettevo da parte le esperienze, i ricordi, le cose belle che la vita mi metteva davanti, le mettevo in un sacchetto e le custodivo come i sassolini bianchi che conserva Pollicino per poterli un giorno condividere con lei.
La musica è di certo una delle esperienze più preziose e significative che la vita possa offrirci.
Ogni pezzo che ascoltiamo e che decidiamo di far entrare dentro di noi aggiunge qualcosa che prima mancava e così, regalare e trasmettere alla mia piccola Eli i pezzi di musica ed anima per me più significativi, è stata una immensa gioia.
Quando ero incinta ho deciso di creare per lei una playlist che la accompagnasse nel delicato momento del sonno, una playlist che si incidesse profondamente nel suo Io più profondo, perché stimolasse quella parte immaginifica e creativa che solo le cose migliori aiutano a crescere e a formarsi, perché potesse un giorno, riascoltando quei pezzi, ritrovare in un posto nascosto dentro di sé, la calma e la tranquillità, la pace del suo addormentarsi da bambina.
Questo è stato il mio regalo per lei che voglio condividere con voi e con i vostri bimbi, sperando che vi piaccia.

MUSICA PER SOGNARE:

Georgia on my mind (Ray Charles)
https://www.youtube.com/watch?v=fRgWBN8yt_E

What a wonderful world (Louis Armstrong)
https://www.youtube.com/watch?v=A3yCcXgbKrE

Moon river (Versione Andrea Bocelli)
https://www.youtube.com/watch?v=K-b9BSEMedc

Dream a little dream (Doris Day)
https://www.youtube.com/watch?v=h7j8wa9sWOE

Somewhere over the rainbow (Versione Israel “IZ”)
https://www.youtube.com/watch?v=V1bFr2SWP1I

ODDIO, SONO (DIVENTATA) UN CESSO.

Dal libro Mamma! Esci da questo web – Ultra Edizioni

Non c’è niente da fare, la maternità ci distrugge. Ci distrugge psicologicamente ed anche fisicamente.
Sì, certo, tutto il bla bla bla su quanto sia bello essere un mamma, su quanto sia impagabile la gioia di tenere tra le braccia il proprio piccolo e compagnia bella, sono tutte cose vere, ma marginali.
Nei primi anni di vita dei nostri figli, la nostra vita, o comunque quella della maggior parte di noi, è un vero inferno.
Tralasciando la questione stanchezza ed esaurimento, passerei a gamba tesa su quella del nostro inesorabile tracollo fisico perché questa non è una possibilità, ma è una certezza (a meno che non siate Kate Middleton o viviate a Hollywood).
Ora vi racconto quello che è successo a me.
Ero una bella ragazzetta, una di quelle che non si curano moltissimo ma che piacciono. Le sopracciglia sempre a posto, le ascelle un velluto, le gambe a volte un po’ spinose, ma tutto sommato riscuotevo i miei successi. Poi un giorno sono diventata mamma, la mamma di Eli ed il mio corpo ha subito un’involuzione riportandomi agli albori, alle origini della specie umana, quando la donna ancora non esisteva, quando si camminava ancora ricurvi e ricoperti di peli.
Mi sono trasformata in una proto-donna: tette mosce, gambe pelose, sopracciglia non fatte, mani non curate, faccia rugosa, senza contare la quantità di capelli bianchi apparsi inspiegabilmente (!?!?) sulla testa e mal tinti con tinte casarecce.
Oh-Mio-Dio!
Io sono single, e vabbè, ma penso a tutti quegli uomini che si accompagnano a mogli o compagne di vita che fino a due o tre anni fa erano come dei raggi di sole, bellissime e splendenti con il loro smalto in tinta con la cinta e le scarpe tacco 12 mentre ora si ritrovano accanto la moglie dell’orco.
Se voi uomini sapeste quanto ci manca quello charme che ci faceva sentire così uniche e speciali, se solo poteste immaginare quanto vorremmo ricevere ancora almeno uno di quegli sguardi un po’ vispi che ci dedicavate quando camminavamo per strada!
Ma noi mamme non abbiamo più il tempo per prenderci cura del nostro aspetto!
Il nostro corpo, una volta tempio della nostra anima, biglietto da visita per i nostri incontri, oggi ci serve per fare cose, non abbiamo spazio per la manutenzione straordinaria.
E poi alla fine, diciamoci la verità, essere piacenti è gratificante, ma lo scopo ultimo di tutto quel nostro agghindarci non era forse attrarre il maschio a fini riproduttivi?
Bene, missione compita. Ora beccatevi la moglie dell’orco 🙂

Dal libro “Mamma! Esci da questo web”





MAMMA, COME MI HAI COSTRUITO?

Quando Eli aveva circa due anni un giorno mi ha chiesto: “Mamma, ma tu come mi hai costruito?”.
Io pensavo che le spiegazioni circa le api che impollinano i fiori sarebbero arrivate più tardi, ma Eli ha sempre anticipato i tempi e così ho affrontato per prima volta il tema della riproduzione con un bebè.
Dunque, come spiegare ad una bambina di due anni come si fanno i bambini?
Per cultura noi occidentali siamo portati a considerare il sesso un tabù o comunque un argomento inappropriato per un bimbo, ma si sa, io non sono proprio una persona convenzionale e mai avrei potuto raccontare alla mia piccola fandonie del tipo “i bambini li porta la cicogna” oppure “crescono sotto ad un cavolo”.
Così ho ingoiato il boccone scomodo del politicamente corretto e mi sono imbarcata in questa spiegazione: “Quando io ho conosciuto papà mi sono innamorata di lui e lui di me e siccome ci volevamo molto bene ci siamo abbracciati forte forte, ci siamo dati un bacio grande grande e dal nostro amore sei nata tu”.
Spiegazione semplice, (in parte) veritiera e che ha soddisfatto la sua curiosità ed il suo interesse su come “era stata costruita”.
Di fatto con l’amore. L’amore reciproco che si è concretizzato in lei.

CHE CI IMPORTA DELLA MORTE


Quando ero bambina, un giorno, mi fu detto che una persona che conoscevamo, un farmacista del paesello dove andavamo sempre in vacanza e nella cui farmacia io passavo intere giornate, era morto.
Quella è stata la prima volta che la morte è entrata nella mia vita.
Ricordo l’esatto momento in cui quella cosa, per me sconosciuta, è entrata a far parte di me.
E’ durato un attimo, un solo secondo di sgomento e poi è passato.
Ho pensato, ho sentito che era normale e che non c’era niente di male in tutto questo.
Non riuscivo ad essere triste o infelice, era solo qualcosa di naturale.
Questa stessa sensazione mi è rimasta per sempre, alla perdita dei mie nonni, delle zie con le quali ero cresciuta, della maestra delle elementari… ogni “perdita” della mia vita non ha mai costituito un trauma.
Forse ero semplicemente una persona insensibile e dal cuore di pietra, ma quello che pensavo era semplicemente: “Eh vabbè, fa niente, è normale che sia così, si muore”.
I miei genitori non mi avevano mai parlato di questo argomento, ma io con Eli, con la mia piccola Eli ne ho sempre parlato nei termini di qualcosa di semplicemente naturale e normale.
Per me la morte non è mai stato un tabù o un segreto da nasconderle.
Eli, come molti bambini, verso i due anni amava sterminare plotoni di formiche o di piccoli insetti. Stava lì a guardarli lavorare indaffarati nel loro piccolo mondo e poi li giustiziava con le sue piccole ditina innocenti.
Io le spiegavo che questo non andava bene, che non era giusto, perchè quella era la loro (seppur piccola) vita ed andava rispettata, perché quando lei li uccideva, loro morivano e non potevano più fare niente. Perché quando si muore non si può più vedere il sole o le cose belle del mondo, non si possono fare più le cose che ci piacciono, mai più.
E per lei andava bene così.
Per la proprietà transitiva, anche quando sono le persone a morire, a loro accade come per le formiche. Non possono più vedere il sole, le cose del mondo e fare le cose che gli piacciono. Ma è normale che sia così.
Per noi la morte non è un tabù, a noi non fa paura e non crea angosce perché l’abbiamo vissuta e gliel’ho raccontata sempre per quello che in effetti è, qualcosa di naturale.
“E dopo cosa succede?”. Eli vuole sempre approfondire le tematiche che la incuriosiscono.
Anche questa volta le ho voluto dire la verità e cioè che non si sa, anzi che nessuno lo sa perché nessuno è morto e poi è tornato per raccontarcelo.
Le ho detto che c’è chi pensa che si vada in cielo, chi pensa che si vada in Paradiso, chi pensa che si nasca di nuovo per fare un’altra vita nuova e diversa. Insomma che la morte e tutto quello che ne consegue è il più grande mistero della vita. Della vita di tutti noi.
Forse sono discorsi troppo elevati per bambini così piccoli, ma in fondo io penso che la verità sia sempre la più cosa più semplice e comprensibile, anche per un bambino.